Che rapporto abbiamo con le nostre emozioni?
Cosa contribuisce a farci avere reazioni emotive diverse dagli altri?
Ognuno di noi vive, percepisce e utilizza le proprie emozioni in modo molto differente dalle altre persone: possediamo modalità uniche e personali di esprimere e gestire la nostra sfera emotiva.
Ad esempio, c'è chi alla minima "perturbazione" ha uno scoppio di rabbia incontrollato verso di sé o verso gli altri, e c'è chi invece rimane mite e calmo anche davanti a perturbazioni esterne ben più forti. Esistono persone che vivono i momenti di ansia in modo catastrofico, percependoli come intollerabili ed eterni, mentre altri utilizzano il medesimo livello di attivazione ansiosa per dare il meglio di sé nell'azione che stanno compiendo.
Riflettendo un attimo, possiamo accorgerci di come non siano tanto gli stimoli esterni a rendere più o meno intensa l'emozione percepita, quanto la nostra reazione personale di fronte a quello stimolo.
E allora...cosa contribuisce a farci avere reazioni emotive diverse dagli altri?
Uno degli aspetti alla base di questa differenza interpersonale è l'insieme delle convinzioni che possediamo in merito alla legittimità delle emozioni: ovvero le credenze che abbiamo riguardo alla possibilità di esprimere o meno gli stati emotivi, soprattutto quando essi sono per noi faticosi e difficili.
Alcune persone credono infatti sia giusto e legittimo accettare e accogliere ogni emozione, bella o brutta che sia, mentre altri credono sia meglio sopprimerle, evitarle o sedarle in quanto simbolo di debolezza, fragilità o vulnerabilità.
Le credenze che abbiamo sulle emozioni e le strategie personali che mettiamo in atto per gestirle determinano quindi l'intensità e la durata dell'emozione che stiamo vivendo, al di là dell'intensità più o meno alta dello stimolo che sta elicitando quell'emozione.
Avere credenze catastrofiche sull'ansia, ad esempio, determinerà un aumento di questa emozione fino a percepirla come incontrollabile e immobilizzante.
Al contrario, credere che sia normale provare ansia, consentirà alla persona di non essere sopraffatta da ciò che sente ma anzi di servirsene per perseguire i suoi scopi, senza incorrere in attacchi di panico o altre reazioni disturbanti.
Nello schema sottostante si possono osservare le diverse strade che possiamo prendere nella gestione delle emozioni difficili, in relazione a quale convinzione abbiamo alla base.
1) Se crediamo sia "normale provare le emozioni" è probabile che accetteremo ciò che stiamo sentendo, per quanto doloroso possa essere per noi, per poi esprimerlo a noi stessi e magari anche alle persone a noi vicine, senza sensi di colpa o vergogna.
In questo modo staremo validando la nostra esperienza emotiva, dando ad essa uno spazio entro cui esistere, e apprenderemo nuove informazioni preziose sul nostro funzionamento.
2) Se invece uno sconvolgimento emotivo ci fa scattare nella mente delle "interpretazioni negative" (come pensare che quell'emozione sia priva di senso; eterna; incontrollabile; imbarazzante; incomunicabile; compromettente; travolgente), saremo portati ad evitare ciò che sentiamo, tentando di sopprimerlo, ignorarlo o eliminarlo.
Ma tali tentativi in realtà saranno inefficaci, in quanto il corpo troverà comunque il modo di "sfogare" quello stato emotivo attraverso strade più dannose, come la dissociazione, le abbuffate di cibo, gli abusi alcolici, le droghe, e stati di ottundimento.
Per comprendere meglio quali siano le nostre convinzioni sulle emozioni, possiamo chiederci come reagiamo di fronte a un'altra persona che sta provando una particolare emozione difficile, come ad esempio un amico che piange di tristezza davanti a noi.
Come ci fa sentire questo?
Corriamo subito a dargli un fazzoletto per impedire ad altre lacrime di uscire?
Tolleriamo lo stato d'animo dell'amico lasciandogli il tempo necessario per far fluire la tristezza, certi che anche questa passerà senza compromettere nessuno?
LE STRATEGIE CHE UTILIZZIAMO PER CAPIRE E REAGIRE ALLE EMOZIONI ALTRUI SONO LE STESSE CHE ABBIAMO NEI CONFRONTI DELLE NOSTRE STESSE EMOZIONI.
In conclusione, si può dire che esprimere e validare le emozioni permette una loro comprensione, aumenta la possibilità di tollerarle, e limita sentimenti di colpa o di vergogna che possono subentrare nel provarle.
Bibliografia:
Terapia degli schemi emozionali in "La regolazione delle emozioni in psicoterapia", Leahy R.L, Tirch D & Napolitano L.A.
L'aspetto delle cose varia a seconda delle emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.
Kahlil Gibran
Quale stile di Yoga scegliere?
Una "mini bussola" per orientarsi tra le molte tipologie di corsi esistenti
Mi capita a volte che mi venga richiesto un chiarimento sulla differenza tra i molti stili di Yoga esistenti.
Magari da parte di chi desidera avvicinarsi a questa pratica, ma che, dopo aver letto qua e là in internet i nomi dei corsi vicino casa, rimane confuso dalla moltitudine di termini che a noi occidentali dicono ben poco.
Il primo consiglio che mi sento di dare è sempre: provare sulla "propria pelle".
Sì, perché per quanto i progressi tecnologici ci consentano di avere un'idea sempre più precisa di ciò che ci aspetta (attraverso foto dell'insegnante, della sala Yoga, informazioni sul corso, ecc.), è solo attraverso il "corpo" che si può davvero sentire se ciò che abbiamo davanti fa o non fa per noi.
Saranno i dettagli più sottili a farci scegliere: magari la musicalità della voce dell'insegnante, i suoi modi di fare dolci o direttivi, il profumo che emana la stanza dove stiamo praticando, i colori delle sue pareti, e tanto altro.
Più che con la testa, il corso di Yoga giusto per noi ci chiamerà attraverso la "pancia".
(Trovo che approcciarsi al processo di scelta con questo spirito sia già mettere in atto uno degli insegnamenti che la pratica tenta di trasmetterci: affidarsi alla saggezza del corpo, prendendo un pochino meno sul serio i preconcetti della mente).
Mi addentro ora in una breve descrizione degli stili principali, così che la parte razionale della mente possa avere una mini bussola con cui orientarsi, pur sapendo che si tratterà solo di un'angolatura dell'intero quadro.
• HATHA YOGA
E' uno stile dal ritmo tendenzialmente lento e rilassato, in cui si studia un asana (postura corporea) alla volta, rimanendo in modo statico in ognuno di essi. L'attenzione al respiro è sempre presente e permette di lasciarsi andare in ogni postura, allungandosi e sciogliendosi in modo morbido ed efficace.
Affianco allo studio degli asana si imparano le tecniche di pranayama, che coinvolgono la gestione della respirazione, ottenendo attraverso di esse uno stato di pacificazione della mente. Possono inoltre esserci (a discrezione dell'insegnante) momenti dedicati alla meditazione e al canto dei mantra.
• IYENGAR YOGA
Come struttura risulta molto simile all'Hatha Yoga, dando però maggiore attenzione agli allineamenti e ai dettagli di ogni asana, Il maestro B.K.S. Iyengar, da cui deriva il nome, è colui che ha inventato questo stile.
Per facilitare l'entrata nelle diverse posture fisiche vengono usati attrezzi come cinghie, mattoncini, sedie, coperte, e altro, per venire incontro alla diversa anatomia corporea di ciascun praticante. In questo modo si massimizzano i benefici di ogni posizione.
• ASHTANGA VINYASA YOGA
E' uno stile sviluppato da Sri Pattabhi Jois costituito da 6 serie di asana, di complessità crescente, che si eseguono mantenendo ogni posizione per 5 respirazioni. Il ritmo è più serrato e sostenuto rispetto alle classi di Hatha Yoga, e il tempo è scandito da una particolare respirazione che si utilizza durante la sequenza fisica: ujjayi pranayama.
• YOGA DINAMICO (YOGA FLOW - VINYASA YOGA)
Tutte le forme di yoga in cui la pratica degli asana è condotta con un ritmo dinamico, entrando e uscendo dalle posizioni in modo fluido. Assomiglia a una coreografia di danza, in quanto il movimento segue un flusso continuo, solitamente dettato dal tempo del proprio respiro, che funge da "direttore d'orchestra".
Gli stili dinamici possono avere anche atri nomi oltre quelli che ho scritto nel titolo, a seconda delle particolarità trasmesse dall'insegnante (ad esempio SHIVA FLOW creato da Silvia Romani, oppure BUDOKON YOGA di Cameron Shayne).
Questo sommario non è certamente esaustivo, esistendo molti altri stili ancora...ma ho preferito concentrarmi su quelli da me personalmente praticati, così da poterne dare una descrizione "sentita" e non solo conosciuta teoricamente.
Si tratta inoltre soltanto di uno schema, che in realtà viene spesso flessibilmente modificato dall'insegnante che tiene la lezione: elementi dinamici e fluidi potranno infatti essere inseriti in una lezione di Hatha Yoga, così come lo studio più statico delle posizioni potrà precedere una sequenza dinamica di Yoga Flow.
Ogni insegnante mette la sua "arte" nella creazione della lezione...non resta che trovare quella che risuona di più con le nostre corde
Il corpo e il suo linguaggio: intervista ad Andrea Nervetti di Riza Psicosomatica
Rilflessioni a cura di Giulia Boffelli, studentessa di Psicologia e praticante Yoga, dal suo incontro con il mondo della psicosomatica
Ho il piacere di condividere le riflessioni di Giulia Boffelli (studentessa di Psicologia all'Università Cattolica di Milano e praticante Yoga presso MenteConsapevole), maturate in seguito all'intervista da lei effettuata al dott. Andrea Nervetti, caporedattore e psicoterapeuta presso Riza Psicosomatica (Milano).
Durante il corso "Esperienza pratica guidata" svolto all'Università Cattolica di Milano, io e alcune mie compagne di facoltà abbiamo avuto la possibilità di conoscere da vicino il mondo della psicosomatica, pressoché inesplorato in campo accademico, intervistando faccia a faccia il caporedattore della rivista Riza Psicosomatica: il dott. Andrea Nervetti.
Nonostante il fenomeno della somatizzazione sia presente nel genere umano fin dalle civiltà più antiche e rappresenti uno stile comunicativo primordiale (per esprimere un disagio che non trova via d'uscita se non attraverso il corpo), l'importanza di porre attenzione ai messaggi inviati dal corpo è stata a lungo trascurata nel corso del tempo.
L'unità Mente-Corpo, messa in luce in particolare dalle pratiche antiche esoteriche, è stata ripresa oggigiorno nel campo della psicoterapia, al fine di curare un sintomo che si presenta al confine tra lo psichico e l'organico.
Questa sottile linea di separazione appare ancora oggi molto sfumata, non solo agli occhi del paziente ma anche alla comunità scientifica. Il recente sviluppo ha però permesso di porre le basi per fornire nuovi strumenti di analisi del sintomo e ridefinire di conseguenza il concetto di salute.
Citando le parole del dott. Nervetti, per Riza si intende "andare alla radice della mente e del corpo...la caratteristica del rizoma (radice) è quella di sviluppare autonomamente nuove piante anche in condizioni sfavorevoli". Una denominazione breve ma che accoglie un profondo significato: secondo questo approccio, il rizoma o radice, rappresenta la parte più autentica di ciascuno di noi, ricca di incredibili sostanze di riserva che consentono di sorreggerne il busto e renderci stabili anche in situazioni di forte vento e tempesta, aprendoci verso la luce delle vette più alte.
Spiega inoltre che, durante le sue sedute psicoterapeutiche, utilizza molti esempi tratti dalla mitologia: "per parlare all'inconscio", afferma, "è necessario adottare un linguaggio metaforico" e a questo proposito mostra il valore curativo della letteratura (mondo considerato parallelo alla scienza ma che, al contrario, presenta punti di convergenza con gli strati più nascosti del nostro corpo).
Consiglia inoltre a tutti i giovani di intraprendere un percorso di Mindfulness, attualmente in voga in campo psicoterapeutico e di grande efficacia: lui stesso, tra i progetti futuri, vorrebbe seguire un master in tale percorso.
Il corpo lancia messaggi estremamente intensi: la capacità di ascoltarsi e ascoltare l'altro può essere una guida sicura, nel momento in cui tale ascolto è accompagnato da un'attenzione consapevole.
In questo senso la Mindfulness può rappresentare una lente di ingrandimento verso il nostro mondo interiore: il vero viaggio prende avvio da un'accettazione umile di quello che siamo, di com'è il nostro corpo, di quali sono le nostre emozioni e i nostri pensieri...questo ci conduce verso la scoperta di nuovi colori che solo se visti da vicino possono essere gustati fino alla loro essenza.
Grazie Giulia per la tua testimonianza.
Che tu possa continuare a conoscere ed esplorare il mondo della psicologia, guidata dalla luce che già brilla dentro di te.
Articoli curati dalla Dott.ssa Sara Citro, Psicologa, Psicoterapeuta ed insegnante Mindfulness.