Attaccamento genitore-figlio: una "base sicura" che permette di crescere
Ogni essere umano quando nasce possiede una tendenza innata presente fin da subito: ricercare la vicinanza protettiva di una figura di riferimento, ogni volta che percepisce uno stato di vulnerabilità (pericolo, dolore, fatica).
Questa spinta motivazionale innata viene chiamata dagli studiosi attaccamento. Ma noi umani non siamo gli unici ad averla. Avete presente la storia del piccolo anatroccolo che uscito dall'uovo inizia a seguire il primo oggetto in movimento che vede? Anche se si tratta di un guanto giallo o un di un altro animale non della sua specie? Ecco, l'anatroccolo nel far questo è spinto dal suo sistema di attaccamento, che lo porta a cercare subito una figura protettiva per salvaguardare la sua sopravvivenza (Lorenz; 1957).
John Bowlby partì da questa e da altre osservazioni sugli animali per definire la teoria dell'attaccamento umano (1969; 1973; 1980), oggi considerata uno dei principali riferimenti della psicologia.
Quando il bambino percepisce una situazione "di pericolo" si attiva in lui il sistema di attaccamento (e in parallelo si disattiva il sistema di esplorazione, che invece motiva ad esplorare il mondo).
Il bambino mette allora in atto una serie di comportamenti di attaccamento per ricercare la figura di riferimento, così da garantirsi la sopravvivenza che da solo ancora non può salvaguardare. Piange, vocalizza, muove le gambe e le braccia. Se ha già sviluppato la motilità si dirige a carponi, muove i primi passi, ricerca il contatto corporeo, oppure guarda da lontano il papà o la mamma in cerca di rassicurazione nel loro viso.
Il genitore a quel punto tenderà ad avvicinarsi al figlio per ridurre il suo stato di paura, generando il lui un senso di sicurezza. Così rassicurato potrà tornare ad esplorare il mondo, certo di avere un porto sicuro dove tornare in caso di bisogno.
L'insieme di queste esperienze condurranno il bambino ad "interiorizzare" nelle sue memorie emotive la figura del genitore come base sicura affidabile, a cui rivolgersi in caso di pericolo.
Nel corso delle prime esperienze di vita iniziamo infatti a costruirci delle rappresentazioni mentali di noi stessi e degli altri, che vengono registrate nei magazzini di memoria implicita: essi sono già attivi dalla nascita nelle strutture limbiche del cervello, che non sono mediate dal linguaggio (poiché non è ancora sviluppato quando nasciamo).
Da grandi non abbiamo un ricordo cosciente di quanto registrato in queste memorie relazionali-emotive, ma fin da subito esse contribuiscono in modo profondo a strutturare la nostra personalità.
Il sistema di attaccamento rimane attivo tutta la vita, in ogni momento abbiamo bisogno di qualcuno su cui contare quando ci sentiamo vulnerabili, anche quando siamo adulti. Le nostre figure di attaccamento principali potranno divenire i nostri partner, ma anche rimanere i nostri genitori.
Ogni persona sviluppa un particolare modo attraverso cui chiedere aiuto quando ne ha bisogno.
La modalità tutta nostra di chiedere (o di non chiedere) aiuto quando ci sentiamo vulnerabili continua a modificarsi nel tempo (in base alle nuove figure di riferimento con cui entriamo in relazione), ma pone le sue radici profonde nelle esperienze emotive che abbiamo vissuto tra le braccia dei nostri genitori (o di chi si è preso cura di noi), quando non avevamo ancora le risorse per proteggerci da soli.