Emozioni e pandemia: storie di vita nella stanza della psicoterapia
UN MIO ARTICOLO PUBBLICATO SU ARSCORPOREA PAPER.
Fin dall’inizio della pandemia ho seguito l’andamento psicologico dei miei pazienti, grazie ad una modalità online che ha assicurato senza grossi limiti la continuità della psicoterapia.
Ora che è trascorso un po’ di tempo da quando tutto ebbe inizio, mi fermo a tirare qualche filo, condividendo ciò che ho potuto osservare e rielaborare.
La pandemia conferma che anche di fronte ad un evento identico e universale come l’infezione mondiale da virus, esistono una moltitudine di reazioni psicologiche differenti, tanti quanti sono gli esseri umani che entrano in contatto con l’evento.
Le reazioni sono molto diverse le une dalle altre, e spesso si collocano addirittura a poli opposti.
In questi mesi ho attraversato insieme ai miei pazienti emozioni faticose, inaspettate, travolgenti e a volte definibili “controcorrente” rispetto al sentire popolare.
È importante nel leggere questo articolo - ma più in generale in ogni confronto umano - sospendere qualunque forma di giudizio.
Non esiste la reazione giusta o sbagliata, appropriata o inopportuna, eticamente corretta o scorretta: quando vibrano le nostre emozioni, ognuno si mette a “suonare” a seconda dello strumento di cui è composta la sua personalità. E suoniamo rimanendo coerenti a noi stessi, al nostro modo di funzionare e al punto in cui ci troviamo nel nostro percorso di crescita personale.
Ma vediamo ora più da vicino alcune storie di vita di cui sono stata testimone in questi mesi.
Inizio con Antonio, un signore che sto accompagnando a causa di un episodio depressivo cominciato mesi fa, dal quale ormai è venuto fuori, e che ora sta lavorando con me nel consolidare quell’equilibrio emotivo che ha visto precipitare da un giorno all’altro intensamente.
Antonio da ormai troppo tempo non lavora, in concomitanza con l’esordio della depressione si era infatti trovato disoccupato.
Quel rimanere a casa senza lavoro, alla sua età ormai adulta, stava nutrendo subdolamente il suo “schema mentale depressivo” che in sintesi è composto da queste convinzioni irrazionali: “sei un fallito, sei tu quello colpevole e sbagliato”.
La disoccupazione da un lato nutriva i meccanismi mentali della depressione, ma nel contempo gli permetteva anche di rimanere dentro la “bolla protetta” delle mura domestiche, consentendogli di non esporsi a nuovi rischi di percepirsi fallito nella vita lavorativa reale.
Ad un certo punto però è comparso il Coronavirus, e di lì a poco anche il lockdown...e dunque come ha reagito Antonio di fronte all’intera popolazione italiana bloccata in casa?
Antonio si è sentito sollevato.
Antonio per la prima volta dall’inizio della depressione non si è percepito lui quello “diverso”, quello rinchiuso in casa senza occupazione.
È entrato in contatto con la fragilità degli altri, del mondo, e questo ha avuto una risonanza rassicurante per il suo cuore ferito e “solo”.
Assistendo in prima persona la malattia di un suo stretto familiare, è tornato addirittura a percepirsi un punto di riferimento per la sua famiglia, proprio come accadeva ante-depressione.
È stato per me emozionante essere al suo fianco in questo attraversamento, senz’altro distante dal sentire comune ma perfettamente coerente con il funzionamento di Antonio.
Quando però il lockdown ha lasciato il posto alla cosiddetta fase 2, è tornato in contatto con la paura di esporsi al fallimento...ma ora Antonio appare più pronto per affrontarla.
Sento che questa situazione assurda di reclusione collettiva ha donato barlumi di fiducia al suo cuore rassegnato.
Una storia simile è quella che ho osservato in Michela.
Da tantissimi anni soffre di derealizzazione, quando è in mezzo a tanta gente spesso avverte una sensazione di distacco dalla realtà circostante.
Durante questo anno di psicoterapia insieme stiamo raffinando una serie di strategie per “convivere” al meglio con questo disturbo decennale, in modo da potersi muovere liberamente nel mondo senza evitare i contesti affollati (come invece d’istinto tende a fare).
Con il lockdown Michela ha interrotto da un giorno all’altro la sua attività di lavoro,
per due mesi non le è stato possibile nemmeno lo Smart working, si è trattato per lei proprio di un on-off lavorativo.
E come si è comportata la derealizzazione di Michela in tutto questo tempo?
È sparita completamente!
Era da anni che i suoi sintomi non le avevano dato tregua per così tanto tempo.
Similmente ad Antonio ho intravisto in lei un senso di sollievo, nel suo caso addirittura un senso di liberazione.
Ora stiamo esplorando insieme la possibilità di rientrare gradualmente nell’ambiente fisico del suo lavoro “ripulita” dai circuiti viziosi abituali della sua mente, mantenendo però questa centratura ritrovata dopo anni di smarrimento.
Al polo opposto si colloca invece la reazione di Eleonora, giovane adulta che soffre fin dall’adolescenza di crisi di ansia, e che si è trovata ad affrontare anche le “ansie da gravidanza” in pieno Coronavirus.
Senz’altro per il suo carattere non avrebbe mai pianificato la maternità durante una pandemia, se avesse potuto!
La terra sotto ai piedi le è iniziata a tremare, tutto le appariva incerto e i pensieri catastrofici hanno iniziato a farsi pesanti.
È un tuffo nel terrore puro.
E io mi tuffo insieme a lei...consapevole che per poterne uscire tranquilli e rassicurati dobbiamo prima guardarli in faccia i nostri fantasmi.
Radicamento, respiro e lavoro corporeo hanno aiutato gradualmente Eleonora a prendersi cura delle sue paure, a sentirsi più sicura nelle sue gambe a terra, e soprattutto non da sola in questo attraversamento difficile. E nel frattempo il Coronavirus è passato lentamente in sfondo di seduta in seduta, smettendo di essere protagonista della scena come era all’inizio.
E poi c’è la storia ancora diversa di Giacomo, ragazzo universitario che da più di un anno accompagno in una psicoterapia a causa dell’insorgenza di pensieri ossessivi fastidiosi e faticosi da lasciar andare.
Se fosse stato per Giacomo non avremmo mai parlato del tema Coronavirus da tre mesi a questa parte!
Tutto concentrato sui suoi pensieri ossessivi (e soprattutto sul dubbio incessante che i contenuti angoscianti di tali pensieri sarebbero potuti essere veri), non poteva permettersi di dare spazio anche a tutta questa situazione altrettanto “minacciosa”.
Non avendo né lui né la sua famiglia contratto il virus, la sua mente iper-razionale non sospettava che l’emergenza sanitaria in corso avrebbe comunque potuto impattare su di lui a livello emotivo, e dunque avere degli effetti anche sulla frequenza ed intensità dei pensieri ossessivi...che alla fine altro non sono che un riflesso cognitivo di emozioni destabilizzanti che fatichiamo a processare in modo fluido e consapevole.
Con Giacomo il lavoro è stato quindi contrario a quello che ho svolto con Eleonora: se con lei lo sforzo era mirato a depotenziare il tema Coronavirus nella sua vita, con lui l’ho invece portato provocatoriamente in seduta, in modo da poter cogliere tutte le risonanze emotive che questa situazione stava inevitabilmente creando anche su di lui.
Durante le psicoterapie è per me appassionante essere a fianco delle persone mentre “vibrano” di fronte agli eventi che accadono loro, ma poter osservare questo processo in un periodo storico in cui tutti stavamo vivendo lo stesso di evento, è stato particolarmente interessante!
E in questo processo, tra l’altro, ero e sono dentro anche io, come essere umano vulnerabile al virus e come cittadina della stessa città di Bergamo.
Quindi non solo ho potuto osservare le diverse reazioni emotive dei pazienti, ma anche il mio sentire che vibrava dietro le quinte in un modo ancora diverso e personale. Mai mi sono sentita così intensamente “vicina” ai pazienti come in questo periodo!
Ringrazio ognuno di loro, per avermi insegnato anche in questa occasione quanta bellezza risiede in tutti noi esseri umani, così fragili e così forti nello stesso tempo.
Quanto c’è da esplorare e conoscere nelle profondità di noi stessi, quando riusciamo a lasciare da parte qualsiasi forma di giudizio e ci apriamo ad una amorevole curiosità, che tutto può accogliere e tutto può sostenere!
Alleati con il sintomo
L’istinto è quello di volerli eliminare i nostri sintomi, e anche subito. Altro che allearci con loro!
Sono nemici, inutili, e incompatibili con la possibilità di vivere serenamente.
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La grande rivoluzione accade quando comprendiamo che invece i nostri sintomi sono spie della macchina che si accendono, e grazie al loro lampeggiare evitiamo di andare a sbattere direttamente fuori strada, prendendo invece la direzione del meccanico.
Sono campanelli d’allarme, antifurti che suonano, pentole a pressione che iniziano a fumare e fischiare.
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Perché arrivano dunque?
Per mandarci dei MESSAGGI, per costringerci a FERMARCI, per segnalarci che dobbiamo MODIFICARE IL TIRO.
A volte il messaggio è “smetti di farcela da solo, non devi dimostrare nulla a nessuno, chiedi aiuto!!”.
Altre volte andiamo talmente di corsa ciechi alla vita che il sintomo ci permette di fermarci e recuperare energie vitali.
Altre volte ancora attraverso il sintomo inconsapevolmente lanciamo dei segnali di fumo a qualcuno di importante per noi: ci mettiamo nella condizione di essere noi le persone da “accudire”, bisognose di attenzione e cura, e così l’altro si dedica a noi attraverso proprio quel sintomo.
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Cosa fare allora quando subentra un sintomo? Allearci con lui.
Con una curiosità gentile e delicata, domandarci innanzitutto quale messaggio ci sta consegnando tra le mani.
Ringraziarlo per la sua visita (ambasciatore non porta pena!).
Prenderci cura di quel BISOGNO NASCOSTO che ha dovuto addirittura scomodare un sintomo per farsi vedere e sentire.
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E con il tempo, con la pazienza, ma soprattutto con chili di delicata gentilezza verso noi stessi, impariamo a LAVORARE D’ANTICIPO.
Cercando di avere sempre più in mente i nostri bisogni e imparando strategie più funzionali ed evolute per prendercene cura e soddisfarli.
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È un lavoro di squadra, dove non esiste nessun nemico da combattere.
Articoli curati dalla Dott.ssa Sara Citro, Psicologa, Psicoterapeuta ed insegnante Mindfulness.